2020, IL TENTATO BIELOMAIDAN- di Marco Pondrelli

In foto Lukashenko durante la difesa del palazzo presidenziale

Articolo di Marco Pondrelli, direttore della rivista Marx21

La geografia rimane uno strumento fondamentale per capire la politica. Guardando una mappa, la Bielorussia ci si presenta come un Paese di passaggio fra Russia ed Europa. Questa sua posizione la obbliga ad una posizione di ponte fra est e ovest ed è proprio questo il ruolo che il Presidente Lukašėnka ha tentato di esercitare.

In prospettiva questo ponte fra Europa e Asia potrebbe rafforzarsi, la Bielorussia è infatti uno dei punti terminali della nuova via della seta, che potrebbe da Minsk trovare una nuova partenza verso l'Europa. Fino al tentativo di rivoluzione colorata Lukašėnka era stato sempre molto accorto mantenendo rapporti stretti con Mosca ma sapendosi anche autonomizzare mandando messaggi distensivi all'Occidente, ad esempio nell'agosto del 2020 vennero arrestati alcuni cittadini russi con la minaccia di estradarli in Ucraina.

Le proteste eterodirette che seguirono le elezioni del 2020 hanno però mandato un messaggio a Minsk molto chiaro. La politica mediana non basta, occorre rompere con Mosca per accelerarne l'isolamento. L'attacco frontale al potere era l'unica strada, perchè gli Stati Uniti sapevano che Lukašėnka non avrebbe mai tagliato i rapporti con Mosca, anche per via dei forti legami economici sanciti, fra l'altro, dal gasdotto Yamal-Europa e dal più grande oleodotto del mondo il 'druzhba'.

Il ministro degli Esteri Makej parlando all'assemblea dell'ONU il 7 ottobre 2020 puntò il dito contro 'la palese ingerenza degli attori politici – autoproclamati oracoli – negli affari interni di altri Stati sovrani'. La data scelta per avviare queste proteste non fu casuale. 

Il 25 marzo 1943 durante l'occupazione nazista la Rada bielorussa aveva dichiarato la separazione dall'URSS e lo stesso giorno del 2020 alcuni manifestanti si radunarono per contestare il legittimo Presidente. Non va dimenticato che a fronte di un forte movimento partigiano che aveva combattuto i nazisti durante l'occupazione, c'erano anche i collaborazionisti, anche se non numerosi come nella vicina Ucraina, a cui evidentemente i manifestanti si richiamavano.

Svjatlana Tikhanouskaya

In questa protesta è emersa la figura di Svjatlana Tikhanouskaya, quella che Giambattista Cadoppi nel suo libro 'Bielorussia. Tra Eurasia e tentativi di rivoluzione colorata' definì 'la Guaidò in salsa bielorussa'. La Tikhanouskaya è divenuta per la cosiddetta 'comunità internazionale' (sempre più corrispondente con la Nato) la legittima Presidente della Bielorussia. A fianco di questa figura ne è poi emersa una seconda, il 'dissidente' Roman Protasevic, il quale era ricercato non in quanto oppositore del Presidente Lukašėnka ma in quanto combattente del battaglione Azov, Protasevic si era recato in Ucraina e dopo avere solidarizzato coi manifestanti della cosiddetta 'Euromaidan' era andato a combattere in Donbass con i neonazisti.

Roman Protasevich con il battaglione Azov, 2015

Come sempre i 'democratici' occidentali si sono lanciati in difesa di questi personaggi, ignorandone idee e storie, è quindi importante, oltre a citare i rappresentanti di queste proteste, anche capire quali erano gli obiettivi che essi si eranoi dati. Come spiega Cadoppi il programma pubblicato chiedeva un completo riorientamento dello Stato e della società verso occidente e l'avvio di una politica neoliberista.

Questo secondo punto è interessante perché permette di riflettere sull'economia bielorussa, che non ha mai aderito alla strada del liberismo sfrenato e delle privatizzazioni ed è questo il primo 'crimine' di Lukašėnka avere garantito condizioni sociali avanzate nel Paese, alcuni esempio: il reddito pro-capite è di 20.00 dollari (il 71° a livello mondiale), c'è la più bassa presenza di poveri nell’area ex-sovietica e il coefficiente GINI, che misura la diseguaglianza, è pari allo 0,275 (in Italia è più alto, allo 0,396). Sono risultati lusinghieri se si guarda a cosa successe in Russia negli anni '90, anni di privatizzazioni selvagge crearono una classe di nuovi ricchi assieme ad una grande povertà, possiamo dire che il Paese divenne povero mentre pochi fortunati costruivano le proprie fortune (poi portate all'estero), lo stesso accadde in Ucraina che però non riuscì, a differenza della Russia, a correggere questi errori. La Bielorussia pur aprendo la propria economia al libero mercato ha mantenuto la proprietà pubblica delle maggiori aziende e assieme alla proprietà pubblica sono state mantenute molte forme di partecipazione dei lavoratori alle scelte industriali.

La protesta voleva colpire prima ancora che questo sistema l'esempio che esso dà, questo perché la Bielorussia non ha un'economia al collasso e arretrata, anche 'Bloomberg' riconobbe come l'avere rifiutato le privatizzazioni selvagge salvò l'economia che riuscì a resistere anche alla crisi successiva al crollo del 2007-08. A questi dati si accompagnano quelli di un' istruzione e di una sanità efficienti.

Colpire la Bielorussia vorrebbe dire dimostrare che l'unica strada è quella del FMI e degli Stati Uniti. Complementare alla modifica dei rapporti economico-sociali interni al Paese c'è il suo ruolo internazionale. Abbattere Lukašėnka avrebbe voluto dire isolare la Russia e colpire la via della seta cinese, spostando ad est la zona di influenza degli Stati Uniti. Ad oltre 2 anni da questo golpe da operetta possiamo dire che gli Stati Uniti e i loro vassalli hanno perso, la posizione che Lukašėnka ha assunto sul conflitto ucraino è la dimostrazione ulteriore che il sistema unipolare statunitense è in crisi e non riesce più ad imporre al mondo la proprie volontà.

Marco Pondrelli 

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