Dalla brigata Nikolai Gastello - Intervista al segretario nazionale del PCI Mauro Alboresi

di Katia Albini


In occasione delle celebrazioni del Giorno della Vittoria sul nazifascismo, il Comitato di solidarietà alla Bielorussia ha organizzato una delegazione che sarà presente a Minsk dal 7 al 10 Maggio.
Tra i partecipanti alla delegazione, la Brigata Nikolai Gastello, sarà presente Mauro Alboresi, segretario nazionale del Partito Comunista Italiano.
Abbiamo deciso di incontrarlo prima della partenza per parlare con lui dei temi più caldi di questo periodo, dal conflitto in Ucraina alle proteste dei lavoratori europei. In un paese come il nostro, in cui la sinistra è frammentata e in cui il concetto stesso di antifascismo sembra assumere vari significati, abbiamo scelto di dare voce a chi non ha abbandonato i propri ideali.

Nella sinistra italiana possiamo trovare diverse posizioni rispetto al periodo che stiamo attraversando, qual è la posizione del  Partito Comunista Italiano in merito al conflitto in corso in Ucraina, e rispetto  all'assetto geopolitico mondiale? Come vi rapportate con la Cina?

Non vi è dubbio che, relativamente alle molte questioni che connotano il periodo che stiamo attraversando, le posizioni della sinistra italiana, nelle sue molteplici articolazioni, sono assai diverse tra loro. Ciò riguarda anche e soprattutto le ragioni della guerra in atto tra Russia ed Ucraina, il come uscirne,  gli assetti geopolitici, il ruolo della Cina. Per quanto concerne noi, il PCI, lo abbiamo sottolineato sin dall'inizio, è un dato di fatto che dalla caduta dell'URSS gli USA ed i loro alleati hanno promosso una politica aggressiva nei confronti della Russia, volta al suo accerchiamento attraverso l'allargamento ad est della NATO, puntando a cooptarvi anche l'Ucraina. E' parte di tale politica  quanto accaduto nel 2014 in quel paese, ossia la destabilizzazione di un governo democraticamente eletto da parte di forze dichiaratamente, manifestamente di destra, addirittura nazifasciste, appoggiate dagli USA e dall'Unione Europea. Da ciò è derivata  l'auto proclamazione delle repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk, russofone, l'esplosione di un conflitto, volutamente ignorato dall'occidente, che ha provocato migliaia di morti, per tanta parte civili. E' un dato di fatto che le dichiarazioni del segretario di stato americano Antony Blinken, così come quelle del segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, volte a rivendicare “il diritto di ogni nazione di scegliere le proprie disposizioni di sicurezza”, hanno finito con il soffiare sul fuoco, 
rappresentando la risposta formale alla richiesta di rassicurazioni  circa il congelamento degli assetti dati,  avanzata dalla Russia. Oltre a ciò tali dichiarazioni sono  manifestamente ipocrite in quanto gli USA risposero in ben altro modo al tempo della “crisi dei missili a Cuba”. E' un dato di fatto che  le stesse dichiarazioni del blocco euro-atlantico circa la messa in discussione del diritto internazionale a seguito del  riconoscimento delle repubbliche popolari del Donbass da parte della Russia, sono anch'esse strumentali, in quanto lo stesso attuò tale politica ai fini dello smembramento della ex  Jugoslavia. E' un dato di fatto che il nostro Paese, in spregio all'articolo 11 della Costituzione e del diritto internazionale, partecipò direttamente alla guerra nei Balcani voluta dalla NATO.
La guerra tra Russia ed Ucraina, che dal 24 Febbraio dello scorso anno, con il suo carico di distruzione, di sofferenza e di morte  si è imposta all'attenzione generale, è da tempo entrata in una nuova fase. La scelta occidentale di inviare all'Ucraina grandi quantità di armi, sempre più sofisticate, addestrandone contemporaneamente i suoi militari all'uso, inizialmente motivata con la necessità di sostenere la resistenza a fronte dell'invasione russa, è oggi dichiaratamente volta a sconfiggere la Russia. Siamo di fronte ad un cambio di fase accompagnato da pacchetti di sanzioni nei confronti di quest'ultima,  anch'esse  non a caso fortemente caldeggiate dagli USA (per l'Unione Europea siamo giunti al decimo) che ad oggi incidono pesantemente soprattutto sulle prospettive di  crescita dell'Europa, del nostro Paese, scaricandone i costi  innanzitutto sulle condizioni dei ceti popolari di quello stesso ceto medio che si è sempre ritenuto al riparo da ciò, e già si parla di razionamenti, di economia di guerra, di recessione. Siamo di fronte alla temuta escalation del conflitto, ad una guerra per procura, condotta dagli ucraini per conto degli USA, della UE, della NATO: una guerra destinata a durare nel tempo, che porta con sé il rischio della terza guerra mondiale, nucleare, con i prevedibili devastanti esiti. La scelta della pace è stata abbandonata, non è all'ordine del giorno. La posta in gioco del conflitto è sempre più evidente: l'ordine internazionale unipolare a trazione USA, l'assetto geopolitico affermatosi dopo la “guerra fredda”, progressivamente messo  in discussione oltre che dalla Russia, dalla Cina e da altri paesi, che insieme rappresentano la stragrande maggioranza dell'umanità e che, pur assai diversi tra loro, propugnano un assetto multipolare, necessario per consentire all'umanità di vincere le grandi sfide che ha davanti. Un insieme di paesi che non assecondano la politica occidentale che tale ordine, invece, intende imporre ad ogni costo, anche con la guerra.  Siamo di fronte ad una situazione sempre più preoccupante. La propaganda bellicista impera. Chi propone una lettura diversa da quella a senso unico offerta dal nostro sistema massmediatico, largamente sempre più asservito ai poteri forti, è additato come “amico di Putin”. Assistiamo ad una campagna che ha assunto caratteri parossistici, che alimenta un sentimento di ostilità ed antipatia per il popolo e la cultura russa, ad una chiamata a “schierarsi con l'Occidente, senza se e senza ma”, in nome di una presunta superiorità morale che non ha retto, non regge alla prova dei fatti. Le drammatiche immagini di città distrutte, di morti e feriti, di gente disperata, in fuga, che scuotono le coscienze, non riguardano soltanto l'Ucraina, ma tutte le guerre, anche le tante promosse, sostenute, combattute  da quello stesso occidente che oggi si indigna ed attiva  la giusta e necessaria accoglienza, la stessa che ha negato e continua a negare ad altri che fuggono da altri teatri di guerra. Guerre piegate ad un'altra narrazione, negate nella loro essenza, e guerre dimenticate, tante. Noi, il PCI, ci battiamo  contro  le posizioni  che alimentano il conflitto, contro la decisione  di inviare sempre più armi all'Ucraina, contro le sanzioni in atto, per l'uscita dell'Italia dalla NATO. Non assecondiamo la politica che il governo Draghi prima ed il governo Meloni poi hanno fatto propria, mortificando ancora una volta il ruolo del Parlamento e nonostante il parere contrario della maggioranza dei cittadini. Noi, che distinguiamo tra popoli e governi, e siamo consapevoli che la guerra non è mai nell'interesse di coloro che sono chiamati a combatterla, ma delle sole classi dominanti, abbiamo detto sin dal primo momento: fermatevi!  Insistiamo per la de-escalation, per il cessate il fuoco, perché prevalga la ricerca del dialogo, la negoziazione, affinché si affermi una soluzione politica del conflitto.  Anche per questo siamo impegnati a rilanciare, in Europa ed in Italia,  un autentico movimento per la pace, che per sua natura non può essere piegato a logiche di parte, come vorrebbero i fautori della guerra, ma ancorato all'idea della pace “senza se e senza ma”. Una soluzione alla quale non stanno guardando, con altri, nei fatti, né l'Unione Europea, che schierandosi con una delle parti in causa ha abdicato sin dall'inizio al ruolo di mediatore che doveva e poteva esercitare, né tanto meno  il nostro Paese, impegnato a proporsi come il più fedele alleato di quella rinsaldata dimensione euro atlantica a guida statunitense conseguente alla elezione di Joe Biden a presidente degli USA. 
Insistiamo: la pace non abbisogna di armi, ma di politiche a ciò funzionali. Con queste convinzioni, con queste posizioni, il PCI è in campo, e continuerà a promuovere iniziative, nonché a partecipare alle diverse manifestazioni ed azioni volte a dire no alla guerra, si alla pace.
I rapporti tra il Partito Comunista Italiano ed il Partito Comunista Cinese sono assai positivi e ci prefiggiamo di svilupparli sempre più e meglio. Guardiamo con crescente attenzione a quanto messo in campo dalla Cina.  Col compiersi della mondializzazione capitalistica, col resistere di aree del mondo in cui prevale una gestione socialistica dei mezzi di produzione, con la progressiva affermazione della Cina sullo scenario mondiale, siamo giunti ad uno snodo cruciale della crisi capitalista, che con gli USA ha investito l'Unione Europea, una crisi che già nei numeri si evidenzia in tutta la sua portata. Come abbiamo evidenziato nel nostro recente secondo congresso nazionale, un importante evento ha sancito la progressiva trasmigrazione dell'egemonia mondiale: la sottoscrizione del Regional Comprehensive Economic Partnership, un accordo di libero scambio coinvolgente 15 paesi asiatici, che insieme costituiscono un terzo della popolazione e del PIL mondiali, destinato a riconfigurare il commercio mondiale ed a depotenziare la globalizzazione neoliberista a guida statunitense. 
E' in tale contesto che hanno preso quota le relazioni tra i cosiddetti BRICS, ha cominciato a svolgere un decisivo ruolo di sostegno allo sviluppo economico dei paesi del terzo e quarto mondo la New Development Bank, creata nel 2015 con sede a Shanghai, in alternativa alle politiche del FMI e della Banca Mondiale, si è giunti al varo della cosiddetta “via della seta”, un gigantesco piano infrastrutturale coinvolgente 65 paesi ed avente quale principale strumento di finanziamento la Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture (AIIB) a tal fine costituita a Pechino nel 2016. Va altresì profilandosi, a seguito dell'essere divenuta la Cina il primo paese importatore di petrolio al mondo, dei rapporti instaurati con produttori come la Russia e l'Iran, la messa in discussione del dollaro nei sistemi di pagamento dello stesso, con tutto ciò che questo comporta. 
Siamo quindi di fronte ad un processo che vede al centro la Cina, un paese a guida comunista, con una economia mista, in cui convivono piano e mercato, e in cui il pubblico ha un ruolo centrale nei settori strategici dell'economia, della pianificazione, della programmazione dello sviluppo, della sua finalizzazione.  La Cina sta cambiando lo statuto delle regole internazionali, sottraendolo al giogo dell'ordine globale a egemonia USA e impostandolo sulla base del vantaggio reciproco, come testimoniano numerose esperienze africane e sud americane.
Le scelte compiute dagli USA per rispondere alla crisi  sono note, così come le politiche attuate e/o prospettate nei confronti della Cina, volte a contrastarne con ogni mezzo l'affermazione, nella consapevolezza che il pendolo della storia va spostandosi inesorabilmente da occidente ad oriente. 
Sono parte di ciò, ad esempio, il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) e il Trans-Pacific Partership (TPP) voluti dalla presidenza Obama, l'imposizione di dazi e tariffe sui beni cinesi decisa  da Trump e, soprattutto, quanto connota la politica di Biden, che sin dalla propria  campagna elettorale ha definito la “minaccia cinese la principale priorità” promuovendo nei suoi confronti una vera e propria crociata. 
Sono parte di tale politica i patti commerciali e militari dichiaratamente volti a contenere (leggasi circondare) la Cina, come ad esempio il QUAD, sottoscritto da USA, Giappone, Australia, India per  costruire, cito testualmente, un Indo -Pacifico “libero, aperto, mai piegato dalla coercizione” e il patto AULUSS, sottoscritto tra USA, Regno Unito ed Australia, che rappresenta una preoccupante escalation militare. La Cina è sempre più indicata come un pericolo, le azioni volte a contenerne il crescente ruolo sullo scenario internazionale, che tale ordine sta mettendo in discussione, sono sempre più evidenti, aggressive. Poco importa che la stessa si proponga in termini aperti, inclusivi, ribadendo la propria convinzione circa i valori che debbono presiedere al rapporto tra gli Stati, tra i popoli, che propugni una visione multilaterale, di contro a quella unilaterale su richiamata, che insista sul concetto “la comunità umana dal futuro condiviso” per rispondere alle sfide alle quali l'intera umanità è chiamata. Come evidenziato, la crisi del capitalismo in occidente è sempre più evidente, l'egemonia globale degli USA è messa in discussione, ed a fronte di ciò la situazione internazionale è divenuta sempre più preoccupante. Come sottolineato, crescente è l'attenzione con la quale il PCI guarda all' esperienza cinese che, come abbiamo avuto modo di sottolineare in altre occasioni, ha saputo misurarsi con la realtà data, affermandone una lettura originale, peculiare, tenendo assieme teoria e pratica politica, ribadendo il primato di quest'ultima. La Cina  sta operando per un mondo improntato alla pace, alla solidarietà, alla collaborazione,  l'unico in grado di garantire il futuro stesso dell'umanità, e per costruire una moderna società socialista quale risposta alla crisi di civiltà nella quale sta precipitando il capitalismo. Ciò ha posto con sempre maggiore forza all'attenzione generale la questione della costruzione del “socialismo con caratteristiche cinesi”, volta al massimo sviluppo delle forze produttive, anche attraverso l'utilizzo di forme e meccanismi di mercato, funzionali anche e soprattutto sul piano della allocazione di risorse. Una scelta, questa, pienamente dentro il pensiero marxista, che ha fatto  tesoro della stessa storia dell'URSS, delle diverse esperienze concretizzatesi nel tempo, del movimento comunista internazionale. Ciò esprime la convinzione che socialismo e mercato, purché questi sia effettivamente regolato e controllato, non sono termini conflittuali, come, al contrario, lo sono in maniera irriducibile socialismo e capitalismo. Il benessere del popolo, obbiettivo primario di una società socialista, è l'orizzonte entro il quale dichiaratamente, concretamente muove l'azione del Partito Comunista Cinese. Siamo di fronte ad un'esperienza originale ed allo stesso tempo efficace volta alla costruzione di una moderna  società socialista, essa vivifica il pensiero marxista, offre all'intero movimento che ad esso si ispira nuova linfa.

Cosa rappresenta la Bielorussia in Europa, e perché il Partito comunista italiano sostiene il governo di Lukashenko?
A seguito degli eventi del 2020 il paese vive già da tre anni sotto sanzioni.
Cosa pensa delle sanzioni unilaterali imposte dall'Occidente a Bielorussia, Russia e ai paesi non allineati? Che reali effetti hanno sulla nostra economia e sul caro vita?

La Bielorussia in Europa rappresenta molto, per la sua storia millenaria e, soprattutto, per quanto la connota dal crollo dell'URSS, con tutto il suo carico simbolico. Essa, infatti, contrariamente alle altre realtà dell'Europa dell'est, nonostante una politica di graduale privatizzazione, non ha assecondato la deriva liberista imposta dal capitalismo propostosi come trionfante, e conservato tutele rilevanti sul versante del sistema di protezione sociale, del mercato del lavoro, che ne fanno un qualcosa di unico a livello continentale, e contrariamente a quanto accaduto agli altri ex paesi socialisti ha consentito alla propria popolazione di non dovere cercare altrove la risposta ai propri bisogni. Un dato oggettivo, che spiega molto, aldilà della propaganda occidentale, del consenso del quale ha goduto e gode la sua classe dirigente. Si tratta di un paese che è stato fatto oggetto nel tempo di numerosi tentativi di destabilizzazione, ai quali anche e soprattutto in ragione di ciò ha saputo resistere, e che  dal 2020, non allineandosi ai dickat dell'occidente, è sottoposto a sanzioni che hanno come obbiettivo quello di condizionarne le scelte. Noi siamo risolutamente contrari alle  sanzioni, non casualmente volute dagli USA, imposte dall'occidente nei confronti della Bielorussia, della Russia e di tutti i paesi non allineati. Esse, oltre ad evidenziare la protervia di quel paese, dell'occidente, finiscono oggi  con il ritorcersi  soprattutto sull'economia europea, in particolare la nostra, scaricandone il prezzo sulle condizioni dei ceti popolari, di quello stesso ceto medio che si riteneva al riparo da ciò (emblematico il cosiddetto caro bollette) e si parla di razionamenti, di economia di guerra, di recessione. L'attenzione ed il sostegno che il PCI rivolge alla Bielorussia è innanzitutto quello dovuto ad un Paese che rivendica il diritto di decidere il proprio destino. 

Quest'anno parteciperà personalmente alla delegazione italiana a Minsk per i festeggiamenti del 9 maggio. In questo momento storico, quanto ritiene sia importante prendervi parte, e perché?


E' con grande piacere che quest'anno il PCI farà parte della delegazione italiana che il 9 Maggio sarà a Minks, per festeggiare il Giorno della Vittoria dell'Unione Sovietica sul nazismo, la conclusione dell'immane tragedia  rappresentata dalla seconda guerra mondiale, della quale i paesi che la componevano, a partire dalla Bielorussia, hanno sopportato il peso maggiore ed alla quale hanno pagato un prezzo enorme in termini di vite umane. La data del 9 Maggio condensa in se significati straordinari, e prendere  parte ai festeggiamenti è oggi più importante che mai. E' infatti un dato di fatto che in tanti, a partire dai vertici europei, vogliono cancellare il senso, la portata, la memoria della lotta vittoriosa condotta dall'URSS contro il nazismo, che l'ultradestra ed il neofascismo, sconfitti dalla lotta dei popoli nel xx secolo, stanno ricomparendo in Europa, mentre l'anticomunismo e la falsificazione della storia europea hanno assunto un carattere istituzionale ( emblematica l'approvazione da parte del Parlamento Europeo della mozione che equipara nazismo e comunismo). E' un dato di fatto che in alcuni stati membri le forze di estrema destra partecipano al governo, ed il sistema permette loro di diffondere politiche razziste, xenofobe, scioviniste, sessiste ed omofobe, che mettono in discussione l'idea stessa di uguaglianza, e che l'Unione Europea finanzia e sostiene da molto tempo  il governo ucraino, nel quale siedono ministri dichiaratamente nazisti. E' un dato di fatto che invece di promuovere la pace l'Unione Europea militarizza e consolida costantemente il suo legame organico con la NATO, sposta quote sempre più rilevanti di risorse e di investimenti  verso l'industria ed il commercio di armi, si proietta sempre più in chiave interventista ed aggressiva  nei diversi scenari internazionali. 

Il primo segretario del Partito Comunista bielorusso, Aleksej Sokol, si è rivolto agli italiani  in occasione della Marcia commemorativa della brigata immortale partigiana.
Nel  suo intervento parla della necessità della costruzione di un movimento popolare antifascista paneuropeo.
Crede sia possibile, e cosa dovremmo fare affinché ciò si realizzi?


Che in Europa il fascismo avanzi, come sottolineato, è un dato oggettivo. E' anche in ragione di ciò che condividiamo quanto detto dal Primo Segretario del Partito Comunista Bielorusso, il compagno Aleksej Sokol, circa  la necessità di operare al fine della costruzione di un movimento popolare antifascista paneuropeo, del quale innanzitutto le diverse forze comuniste debbono farsi promotrici, superando i limiti che per tante ragioni non le hanno viste operare, su questa come su altre questioni, con la necessaria organicità e determinazione. La lotta contro il fascismo e la guerra e la lotta per il progresso sociale ed il socialismo sono fra loro strettamente collegate. 

In Francia proseguono le proteste dei lavoratori, che hanno avuto come scintilla la riforma delle pensioni introdotta da Macron aggirando il voto del Parlamento. Anche in Gran Bretagna e Germania ci sono agitazioni. In Italia, purtroppo, un sindacato di massa, come la CGIL ha fallito il compito che la Storia gli aveva consegnato. Cosa fare per unire i lavoratori italiani in un unico movimento, così come accade nei paesi già citati? Queste proteste, potranno varcare i confini, e superare le singole rivendicazioni per diventare proteste dei popoli europei contro lo sfruttamento del capitale e l'imperialismo occidentale?

Non vi è dubbio che quanto sta accadendo in Francia, ossia una vasta e duratura mobilitazione popolare contro le politiche del governo Macron, esemplificate dalla controriforma del sistema pensionistico, peraltro intervenuta senza il coinvolgimento del Parlamento, ha destato e desta l'interesse generale. Ciò che sta accadendo in quel Paese ha assunto caratteri inediti. Si è ben oltre la mobilitazione sindacale unitaria, la resistenza parlamentare senza sconti operata dalle diverse forze di opposizione. Ciò a cui stiamo assistendo è la moltiplicazione  delle forme e delle modalità attraverso le quali ampi strati dell'opinione pubblica, di cittadini si uniscono alla protesta. Molteplici sono gli scenari che si prefigurano circa  i possibili sbocchi della stessa, tra i quali, per Jean Luc Melenchon, leader di La France Insoumise, non va esclusa la rivendicazione, attraverso il movimento sociale, di una nuova organizzazione dei poteri pubblici e dei diritti individuali, le forme stesse che dovrebbe assumere lo Stato. Che anche in Gran Bretagna ed in Germania, così come in altri paesi,  si assista a rilevanti manifestazioni contro le politiche di carattere liberista dei relativi governi, è un dato di fatto. Che ciò allo stato non accada in Italia, se non limitatamente e con un carattere prevalentemente difensivo, è evidente ed ha ragioni profonde. Esse sono da ricondurre al tanto che è intervenuto nel tempo sull'onda dell'imperante cultura liberista, delle politiche portate avanti dai diversi governi di centrodestra e di centrosinistra che si sono succeduti alla guida del Paese, all'insegna di quella cultura, di quel pensiero unico, che ha reso possibile, tra l'altro, l'affermazione del governo Draghi. Un processo che ha portato tanta parte della  sinistra ad essere altro da se, e con essa il sindacato confederale a rinunciare alla  propria funzione contrattuale per assumerne  una concertativa, che facendo propria  la centralità del mercato, dell'impresa , ha finito con il subordinare ad essa le condizioni del mondo del lavoro,  peggiorandone drammaticamente le condizioni ed inevitabilmente allontanandolo da sé, come testimonia la crisi di rappresentanza che connota il sindacalismo italiano. Oggi, a fronte dell'affermazione del governo Meloni, un governo stretto tra conservatorismo e reazione, che sul piano finanziario ed economico ha fatto propria l'assunzione “dell'agenda Draghi”, possiamo attenderci un ulteriore attacco ai diritti sociali, oltre a quelli  civili. Nella situazione data, quindi, caratterizzata da un fortissimo squilibrio delle forze in campo, da un processo di progressivo arretramento della classe, da una frammentazione senza eguali della sinistra  e del sindacalismo che ad essa dichiaratamente si rifanno, che ha ragioni profonde da ricondurre alle politiche affermatesi nel tempo, a ciò che hanno prodotto,  non è certo facile mettere in campo la necessaria opposizione, ma occorre misurarsi con tale sfida.  Per queste ragioni occorre dare vita ad iniziative di mobilitazione, ai diversi livelli, volte a fare comprendere la posta in gioco, ad aggregare attorno a proposte alternative che si misurino con la gravità della situazione, con i reali bisogni delle masse popolari ( ad esempio sul terreno del lavoro, della salute, dell'istruzione, dei diritti), che diano il senso del cambiamento necessario e possibile assieme. Certamente ciò passa dalla messa in campo della massima unità possibile, dal raccogliere l'invito di tanti a “stare assieme”. Ciò che serve oggi è  promuovere la più ampia unità d'azione possibile tra tutte le soggettività politiche, sindacali e sociali che non si rassegnano alla situazione data, la costruzione  di un fronte comune contro il governo Meloni, più in generale ciò che serve la costruzione di una opposizione di massa volta ad incidere sui rapporti di forza in essere. Un'opposizione che ponga al centro la questione della pace e del disarmo, della rottura con questa Unione Europea, dell'affermazione della Carta Costituzionale, di un diverso modello di sviluppo, sostenibile, ecocompatibile, non asservito alla logica del profitto. Una opposizione che all'insegna del più Stato meno Mercato si riproponga  come alternativa possibile, credibile, determinando in tal modo le condizioni per il superamento della propria crisi e più in generale di quella del Paese. Che queste proteste, queste istanze di radicale cambiamento, possano varcare i confini nazionali ed affermarsi sullo scenario europeo, per mettere in discussione lo sfruttamento del capitale e l'imperialismo occidentale, è possibile oltre che necessario, ciò passa anche e soprattutto attraverso il massimo impegno delle forze comuniste, che propugnano un'alternativa di sistema. 

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