Convegno sul genocidio in Bielorussia nella II° Guerra Mondiale - Giambattista Cadoppi



di Giambattista Cadoppi 

Si è tenuto a Minsk all’inizio di dicembre un convegno sul genocidio in Bielorussia, in occasione del 75° anniversario dell’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e la repressione del genocidio.

La Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio è stata adottata il 9 dicembre 1948 a Parigi. 
Per prima cosa ha stabilito il concetto di crimine di genocidio nel diritto internazionale. Il documento obbliga tutti gli Stati e i popoli a restare vigili e richiede loro di agire per prevenire e punire il genocidio. 
La Bielorussia è stato uno dei paesi più colpiti da una serie interminabile di stragi nella Seconda guerra mondiale, con più di un terzo degli abitanti che hanno perso la vita. Tra i partecipanti c’erano rappresentanti di molti paesi stranieri. Io ero tra gli invitati assieme a ospiti provenienti dalla Polonia, Lettonia, Germania, Brasile, Iran. 
Oltre alla relazione al convegno i partecipanti hanno potuto visitare il villaggio di Khatyn’, la Marzabotto bielorussa, dove trovarono la morte 149 persone, di cui 75 bambini — uccisi dai nazisti. Il più giovane abitante di Khatyn’ aveva solo sette settimane. Poi abbiamo visitato il campo di concentramento di Trostenets, l'Auschwitz bielorussa, nel quale furono uccise 206.500 persone. Davvero posti che fanno riflettere anche per chi oggi subisce un nuovo genocidio, ossia Gaza.
La stampa bielorussa ha dato ampio risalto al Convegno, anche se molti siti bielorussi non sono visibili nel democraticissimo Web occidentale. 

Di seguito la mia relazione, svolta in inglese.

Sull’interpretazione degli avvenimenti sul Fronte Orientale nel corso della Seconda guerra mondiale in Occidente

Sul Fronte Orientale si è svolta la più grande guerra nella storia dell’umanità: per numero di morti, per estensione, per il carattere tragico e per le sue conseguenze. Inevitabilmente la Bielorussia è stata il teatro principale di questa guerra, sia perché le truppe naziste attaccarono come linea principale in questa direzione, sia perché le battaglie per l’Operazione Bagration si svolsero su questa direttrice. 
Il risultato è stata la devastazione del territorio della Bielorussia. 
Inoltre, molte delle operazioni antipartigiane dei nazisti si svolsero in Bielorussia che è ricordata anche, nella tradizione orale e nella cultura popolare, come la terra dei partigiani.
Senza la vittoria dell’Armata Rossa, un risultato descritto dallo storico Geoffrey Roberts come «la più grande impresa d’armi nella storia del mondo», la Germania avrebbe molto probabilmente vinto la guerra, perché avrebbe acquisito il controllo dei giacimenti petroliferi del Caucaso, i ricchi terreni agricoli dell'Ucraina e del Nord del Caucaso e molte altre ricchezze delle vaste terre sovietiche. La Germania sarebbe potuta diventare una potenza imbattibile se avesse distrutto l’Armata Rossa. 
Gli Stati Uniti hanno sempre cercato di convincere i propri connazionali e il resto del mondo che furono gli americani a fermare il fascismo e infine a sconfiggere Hitler, ma ciò è dovuto al loro patologico narcisismo. Tanti importanti storici occidentali e americani hanno mosso obiezioni a questo modo di pensare.
Lo storico militare americano David Glantz scrive che una rivista americana, nel cinquantesimo anniversario dello sbarco in Normandia del 1944, presentò una foto di copertina del generale Dwight D. Eisenhower, acclamandolo come l'uomo che sconfisse Hitler. Se qualcuno avesse meritato questa reputazione, sostiene Glantz, non sarebbe stato Eisenhower ma Zhukov, Vasilevsky, o forse lo stesso Stalin. 
Più in generale, l'Armata Rossa e i cittadini sovietici di tante nazionalità fecero la parte del leone nella lotta contro la Germania dal 1941 al 1945. Solo la Cina, che ha subito un attacco giapponese quasi continuo dal 1931 in poi, ha eguagliato il livello di sofferenza e sacrificio dei sovietici.
Gli storici occidentali hanno creato l'impressione che l'offensiva britannica di El Alamein e lo sbarco degli alleati nei paesi del Nord Africa nel novembre 1942 abbiano segnato una svolta nella lotta contro i "paesi dell'asse". Nell'Enciclopedia Storica della Seconda guerra mondiale, pubblicata negli Stati Uniti nel 1989, gli autori hanno dedicato 168 righe alla battaglia di El Alamein e solo 93 alla battaglia di Stalingrado. Nel dizionario storico-militare di Thomas Harbottle, Dictionary of Battles, si afferma che El Alamein fu una delle battaglie decisive della Seconda guerra mondiale, una valutazione superiore a quella della Battaglia di Stalingrado. L'evento più importante della guerra mondiale secondo molti storici occidentali è lo sbarco degli Alleati in Normandia nel giugno del 1944 che a confronto con le grandi battaglie del Fronte Orientale risulta quasi una scaramuccia.
Anche il generale Marshall, ex-capo di Stato maggiore dell’esercito degli Stati Uniti, in un rapporto al presidente Roosevelt, scrisse che la svolta della guerra è iniziata a Stalingrado e a El Alamein. Anche questa affermazione non è corretta, dal momento che sul fronte sovietico-tedesco i nazifascisti avevano, nell’autunno del 1942, 226 divisioni, mentre nell’Africa settentrionale avevano – al momento della battaglia di El Alamein – solo dodici divisioni, di cui otto italiane.

Sul fronte orientale i combattimenti, che infuriarono per 4 anni, coinvolsero 400 divisioni tedesche e sovietiche; il fronte stesso si estendeva per 1.600 km. Nel frattempo, le offensive sul fronte occidentale coinvolsero 15-20 divisioni al massimo. L'armata tedesca subì l'88% delle perdite sul fronte orientale. Le cifre possono divergere ma non nell’ordine di grandezza. Secondo David Glantz e Jonathan House, l’Armata Rossa inflisse circa l'80% (oltre 3,5 milioni di soldati morti) di tutte le perdite sofferte dalle forze terrestri tedesche (Wehrmacht e Waffen-SS) durante l'intero conflitto. Fu l'Armata Rossa a impedire ai tedeschi di portare a termine le importanti offensive nel 1943 e soprattutto sconfiggendo a Kursk le truppe germaniche, fece sì che i tedeschi perdessero ogni capacità di offensiva strategica. 
Il ruolo chiave dell'armata sovietica nella Seconda guerra mondiale sarà così evidente agli storici che in futuro USA e Gran Bretagna verranno semplicemente accreditate per aver fornito un supporto, seppur importante. Questa guerra, come ha detto qualcuno, sarà ricordata come “la guerra tedesco-sovietica”.

Il revisionismo della Seconda guerra mondiale minimizza il ruolo prominente del Fronte Orientale e dell’Armata Rossa, ma sottace anche la pesante sconfitta della Francia e delle truppe britanniche in Francia e Belgio, e poi in Grecia. Si cerca di parlare il meno possibile della "strana guerra".

Ovviamente gli storici occidentali tendono a rafforzare il mito della funzione decisiva degli aiuti occidentali (Lend-Lease), elemento fondamentale nella percezione sbagliata che l'Occidente ha della guerra.
Soprattutto la visione occidentale della guerra fu plasmata dai media, da Hollywood che superò nettamente la cinematografia sovietica che non aveva mercato in Occidente, per cui noi occidentali abbiamo visto 99 film fatti a Hollywood e (forse) uno fatto in Unione Sovietica. Sebbene per avere una visione il più possibile realistica occorreva averne visto almeno 80 di produzione sovietica e 20 di produzione occidentale. Il film di Elem Klimov (Idi i smotri) è pressoché sconosciuto in Occidente.
I sondaggi IFOP sul contributo militare dell'Unione Sovietica e degli Stati Uniti alla vittoria sui nazisti si sono, tra il maggio 1945 e il maggio 2015, praticamente invertiti: il 57% degli intervistati propendeva per il ruolo determinante giocato dall'URSS alla prima data (20% per gli Stati Uniti); Oggi invece il 54% propende per il ruolo maggiore giocato dagli Stati Uniti, fino al 59% tra quelli sotto i 35 anni, vittime principali della scarsa attenzione data dell'insegnamento della storia.
In Occidente le proporzioni dell’orrore determinato dalla Seconda guerra mondiale sul Fronte Orientale sono, se non ignorate, quantomeno sminuite. Ciò è dovuto in gran parte alla sottovalutazione voluta, per ragioni, come abbiamo visto, meramente propagandistiche, del ruolo militare dell’Armata Rossa e della resistenza delle popolazioni dell’ex-Unione Sovietica. Tale sottovalutazione di riflesso ha sminuito le conseguenze sulla popolazione civile.
È del tutto naturale che, data questa sproporzione, l’opinione prevalente in Occidente sia che si ignorino le sofferenze patite dalle popolazioni sovietiche e in particolare dalla Bielorussia.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, la Repubblica Socialista Sovietica di Bielorussia contava 9,2 milioni di abitanti. Cosicché sul territorio bielorusso occupato dai nazisti più di 8 milioni di persone finirono stabilmente sotto occupazione, oltre a 900mila prigionieri di guerra sovietici. 
Il primo passo degli occupanti è stata l’introduzione di restrizioni alle libertà civili della popolazione locale dichiarando lo stato di emergenza. L’intera popolazione residente nel territorio occupato era soggetta a registrazione obbligatoria nelle amministrazioni locali. Le attività di tutte le organizzazioni sono state vietate, così come lo svolgimento di raduni e riunioni. È stato introdotto un controllo degli accessi nelle varie località ed era in vigore il coprifuoco. Dai primi giorni della guerra, i tedeschi hanno effettuato massicce epurazioni: hanno ucciso comunisti, membri del Komsomol, commissari politici, funzionari dello stato sovietico, rappresentanti dell’intellighenzia.
Alla fine del 1945, il numero dei cittadini bielorussi era sceso a 6,3 milioni. L’amministrazione tedesca ha perseguito una politica di genocidio, rapina e violenza. Tutto questo è avvenuto secondo il Generalplan Ost.
La popolazione della Bielorussia ha dovuto effettuare pagamenti in natura insopportabili. Queste misure, attuate dall’amministrazione tedesca sul territorio della Bielorussia, hanno contribuito all’ascesa del movimento di liberazione. Dai primi giorni della guerra, i bielorussi iniziarono a resistere ai nazisti. Dopo l’introduzione di varie restrizioni e tasse, il malcontento tra la popolazione civile è cresciuto in modo esponenziale, il che ha permesso di organizzare con successo il movimento partigiano.
Come riporta un testo scolastico: "Nella guerra partigiana contro gli occupanti fascisti tedeschi della nostra repubblica, fianco a fianco con la popolazione bielorussa (71,9 per cento) hanno partecipato russi (19,29 per cento), ucraini (3,89 per cento), lituani, lettoni, georgiani, kazaki, armeni, uzbeki, azeri, moldavi, ebrei, figli e figlie di più di settanta nazionalità dell'Unione Sovietica".
Per combattere la resistenza anti-tedesca, furono ampiamente utilizzate spedizioni punitive, oltre 140. Intere aree sono state distrutte, trasformandosi in “zone desertiche”. Durante tutto il periodo dell’occupazione tedesca, secondo le statistiche sovietiche, 209 città e 9.200 villaggi bielorussi furono distrutti di cui 628 insediamenti furono annientati insieme a tutti gli abitanti e 2,23 milioni di cittadini sovietici furono uccisi nel territorio della Bielorussia. Khatyn’ è la versione bielorussa dell’italiana Marzabotto. Un intero villaggio distrutto assieme ai suoi abitanti: 149 persone, di cui 75 bambini — furono uccisi dai nazisti. Il più giovane abitante di Khatyn’ aveva solo sette settimane. Ci sono state "non uno, o due, ma 627 Lidice e Oradours in Bielorussia", ha osservato lo scrittore bielorusso Ales' Adamovich. "A Buchenwald è stato ucciso un detenuto su cinque (50mila su 250mila]), in Bielorussia una persona su quattro. La campagna bielorussa è stata trasformata in un campo di concentramento".
La prima spedizione punitiva ebbe luogo nel luglio-agosto 1941. Durante l’operazione, i nazisti hanno ucciso 13.788 persone. Nel rapporto sui risultati di una di queste spedizioni (luglio-agosto 1943), il comandante riferì a Berlino che 4.280 persone furono uccise, 20.944 furono fatte prigioniere, compresi 4.180 bambini. I soldati tedeschi requisirono parecchie migliaia di polli, mucche, vitelli, pecore, maiali e oltre 100 veicoli agricoli, il tutto per affamare la popolazione.
I nazisti usavano spesso i bambini come “donatori” di sangue. La popolazione locale era coinvolta nello sgombero delle aree minate, era uno scudo umano nelle operazioni di combattimento contro i partigiani e le truppe dell’Armata Rossa. L’amministrazione tedesca ha utilizzato la deportazione della popolazione per il lavoro forzato in Germania e nei territori occupati. Circa 400mila persone, i cosiddetti ostarbeiter, sono state deportate dalla Bielorussia. 186mila bielorussi sono morti sul lavoro.
La parte “razziale” del genocidio è stata eseguita con particolare crudeltà: ebrei, zingari, malati fisici e mentali furono eliminati. Nelle città furono organizzate zone speciali di residenza degli ebrei: i ghetti. In totale, secondo varie fonti, da 111 a più di 200 ghetti furono creati in Bielorussia.
Sono stati creati 260 campi di concentramento e di sterminio. Il più grande era il campo di sterminio di Trostenets, nel quale furono uccise 206.500 persone.
Vasil' Zakhar'ka, offrì l'alleanza tra la Rada della Repubblica Popolare Bielorussa in esilio, (successore dello stato fantoccio creato durante l'occupazione tedesca nel 1918) e la Germania nazista, augurando a Hitler "una rapida e decisiva vittoria sul regime giudeo-bolscevico su tutti i fronti". Ma il collaborazionismo ebbe scarso seguito in Bielorussia. Nella loro corrispondenza interna, i nazisti si lamentarono dello scarso entusiasmo della popolazione locale nel commettere atti di violenza antiebraica: i bielorussi "non sembravano capire il problema razziale posto dagli ebrei". Nell'agosto del 1941 le Einsatzgruppen riportarono che "non c'è praticamente nessuna coscienza nazionale nell'area. Manca anche un pronunciato antisemitismo". 
La distruzione di massa della popolazione venne effettuata da  gruppi speciali : dalle Einsatzgruppen, Einsatzkommandos del Sicherheitsdienst (SD),  con il supporto della polizia locale collaborazionista, la Schutzmannschaften. Le autorità occupanti inizialmente incontrarono notevoli difficoltà nel trovare collaboratori bielorussi affidabili, e durante il primo anno dell'occupazione molti Schutzmänner in Bielorussia erano volontari provenienti da Lituania, Ucraina e Lettonia. Alla fine dell'estate del 1941 i nazisti inviarono in Bielorussia un certo numero di formazioni armate filofasciste ucraine e un battaglione lituano, che furono utilizzati per combattere i partigiani e partecipare alla distruzione di massa della popolazione. Il genocidio del popolo bielorusso fu opera, dunque, dei nazisti con l'assistenza di collaboratori lettoni, lituani e ucraini. Secondo i rapporti del dodicesimo battaglione lituano, solo nel periodo tra il 5 ottobre e il 7 novembre 1941 furono sterminate oltre 43mila persone nel territorio della Bielorussia.
Nell'ottobre 1941 le SS Einsatzgruppen massacrarono ebrei e bielorussi senza l'autorizzazione dell'amministrazione civile nazista locale e delle autorità di sicurezza delle SS. La violenza fu tale che suscitò persino la protesta del Generalkommissar Wilhelm Kube secondo cui la città diventò un'immagine dell'orrore. Con indescrivibile brutalità sia da parte degli agenti di polizia tedeschi che soprattutto dei collaborazionisti lituani, ebrei e bielorussi, furono portati fuori dalle loro abitazioni, raggruppati assieme e uccisi.
Il Generalkommissar Wilhelm Kube progettò di radere al suolo Minsk e sostituirla con un insediamento tedesco, chiamato Asgard. 
Tutte le risorse economiche e naturali delle aree occupate furono dichiarate proprietà tedesca. È stato introdotto il servizio di lavoro obbligatorio. L’essenza della politica economica nell’Europa orientale (inclusa la Bielorussia) può essere giudicata in base alle richieste di Goering ai Reichskommissar nell’agosto 1942: «Venite mandati lì per lavorare per il benessere della nostra gente, e per questo è necessario rubare tutto il possibile. Allo stesso tempo, non m’importa assolutamente se le persone delle regioni occupate muoiono di fame. Lasciateli morire affinché i tedeschi possano vivere».

Giambattista Cadoppi 

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