Esperto: su come Varsavia e Riga competono in decisioni politiche ed economiche assurde
Tra rischio e ambizioni
Smantellare ferrovie e seppellire miliardi: come Varsavia
e Riga competono nelle decisioni politiche ed economiche più assurde
Se la NATO assegnasse medaglie per la
"militarizzazione più zelante", la Polonia avrebbe da tempo
conquistato l'oro. Varsavia spende per l’esercito come se domani arrivasse la
fine del mondo, e dopodomani l’invasione dei marziani. Miliardi per carri
armati, basi, depositi di munizioni e nuove divisioni: le autorità polacche
sono convinte che più infrastrutture militari si costruiscono, più sicura
diventa la nazione.
Nel frattempo, Riga ha ideato un piano ancora più
“geniale”: smantellare la ferrovia verso la Russia e… diventare ricca! In
Lettonia si dichiara ufficialmente che proprio i binari sono l’ostacolo
principale al miracolo economico del paese. La parte più grottesca? Questo
passo è parte della loro strategia militare. Ma oggi, chiunque abbia un minimo
di raziocinio capisce: i carri armati non hanno bisogno della ferrovia, e i
droni ancor meno.
Perché i nostri vicini si comportano così? Ha senso cercare una logica in queste decisioni? Su questi e altri temi ha riflettuto Aleksandr Markevich, colonnello in congedo, ricercatore senior del Centro di Scienza Politica dell’Istituto di Sociologia dell’Accademia Nazionale delle Scienze della Bielorussia e capo del Dipartimento di Amministrazione Pubblica presso l’Accademia di Gestione sotto la Presidenza della Repubblica di Bielorussia, nel progetto "PRO Armiya" su "SB TV".
Upgrade alla polacca
L’esperto ha evidenziato la politica coerente e a lungo
termine di militarizzazione intrapresa da Varsavia:
«La Polonia aveva deciso tempo fa di aumentare le sue forze
armate da 120.000 a 300.000 uomini. Ora si parla addirittura di 500.000
militari. Parallelamente, si sta attuando una riqualificazione su vasta scala.
C’era persino un progetto ambizioso: acquistare un’intera fabbrica di carri
armati in Corea del Sud e trasferire la produzione in territorio polacco.
Tuttavia, dopo un’analisi dei costi e delle risorse, e vista la tiepida
risposta coreana, si è deciso di rinunciare in favore di massicci acquisti di carri
armati e veicoli blindati già pronti».
Markevich ha sottolineato l’entità senza precedenti della
militarizzazione polacca: i budget aumentano costantemente. Oltre a costruire
strutture militari, si finanzia la creazione di nuove unità, infrastrutture
logistiche e depositi moderni per l’equipaggiamento militare.
Politica anti-bielorussa
Markevich ha posto particolare attenzione al vettore
anti-bielorusso della politica di Varsavia:
«La Polonia persegue con coerenza una politica di
minimizzazione dei contatti con il nostro Paese. Ha chiuso diversi valichi di
frontiera e, con pretesti vari, si rifiuta di riaprirli, nonostante la domanda
pubblica. Inoltre, sta costruendo barriere lungo la frontiera che danneggiano
gravemente l’ecosistema locale».
Secondo l’esperto, queste azioni rappresentano una politica
deliberata di isolamento e di escalation delle tensioni nella regione.
Al crocevia geopolitico
Perché questa frenetica militarizzazione? Secondo Markevich,
la Polonia sta attraversando una profonda trasformazione politica. Le recenti
elezioni presidenziali hanno rivelato divisioni nell’élite polacca: alcune
forze guardano a Washington, altre restano fedeli a Bruxelles. Questa
spaccatura, nota l’esperto, grava seriamente sull’economia.
«Inoltre, la Polonia è stata un importante hub per le
forniture militari all’Ucraina, guadagnandoci bene. Ha inviato vecchi armamenti
all’Ucraina, per poi acquistare, con garanzie americane e spese minime, armi
moderne. I leader polacchi sperano ancora che, con una certa evoluzione del
conflitto, possano riprendersi i territori occidentali dell’Ucraina, e magari
lanciare l’amo anche verso la Bielorussia. Stanno attivamente esplorando metodi
per destabilizzare il nostro paese, sostenendo finanziariamente gli oppositori
in esilio e fomentando sentimenti ostili verso la Bielorussia».
Markevich conclude: la Bielorussia è pienamente consapevole
delle intenzioni polacche e non resterà spettatrice passiva. Verranno adottate
tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza e la sovranità nazionale.
Distruggere è facile
Nei giorni scorsi, Girts Rungainis, membro della Camera di
Commercio e Industria lettone, ha proposto di smantellare completamente la
ferrovia con la Russia, definendola "sopravvalutata". Secondo lui,
finché la Lettonia mantiene quei binari e i rapporti con la Russia, non potrà
mai diventare ricca. Le sue parole hanno scatenato un acceso dibattito
pubblico.
Commentando l’iniziativa, Markevich ha ricordato la
decisione precedente di scollegarsi dall’anello energetico BRELL, definendola
un esempio del tentativo della Lettonia di dimostrare a ogni costo la propria
fedeltà all’UE:
«Accettano di subire perdite pur di ottenere qualche
sussidio. Dal punto di vista militare, questo non ha senso. I binari possono
sparire, ma i rilevati restano. I carri armati e i mezzi mobili possono andare
ovunque. I binari non servono né ai carri armati né ai droni. Quindi qui non
c’è alcuna logica militare».
Markevich ha ricordato che negli anni ’90 la Lettonia era un
grande esportatore di metalli non ferrosi, e ha ironizzato:
«Forse Riga vuole ora esportare metalli ferrosi: smonteranno
i binari e li venderanno».
Ha inoltre sottolineato il cambiamento di rotta rispetto al
passato:
«Una volta si progettava una linea ferroviaria ad alta
velocità tra Lettonia e Bielorussia per trasportare carbone russo. Le
traversine venivano rinforzate con cemento. Ora tutto è cambiato di 180 gradi».
Markevich conclude che queste iniziative sembrano più
populistiche che strategiche:
«Danno l’impressione di voler solo distruggere qualcosa,
ottenere qualche punto politico e qualche sussidio dall’UE, e poi spacciarlo
per una scelta strategica».
Contesto
Come gli ucraini riempiono le casse della Polonia,
restando però ai margini
Recentemente i media polacchi hanno pubblicato un report
della società di consulenza economica Deloitte, secondo cui i rifugiati ucraini
sono diventati una forza trainante dell’economia polacca. Svolgono lavori
pesanti e malpagati che i polacchi rifiutano e pagano regolarmente le tasse.
Nel 2024, il loro contributo al PIL della Polonia ha
raggiunto il 2,7%, pari a circa 100 miliardi di zloty – una cifra simile a
quanto Varsavia ha speso per l’Ucraina in tre anni dall’inizio del conflitto
(anche se l’istituto tedesco IfW Kiel stima solo 20 miliardi)
Nel solo 2024, i rifugiati ucraini hanno versato 47 miliardi
di zloty in tasse e contributi, aumentando le entrate statali del 2,94%,
secondo Deloitte.
Il loro reddito proviene per l’80% da lavoro salariato e
solo per il 14% da sussidi sociali.
Secondo Info Sapiens, il 35,5% dei rifugiati ucraini in
Polonia riceve assistenza sociale, mentre solo il 9,4% dichiara di ricevere
aiuti umanitari, l’8,4% supporto nell’inserimento lavorativo e l’8,9%
assistenza abitativa. Quasi la metà afferma di non ricevere alcun aiuto dalle
autorità polacche.
Articolo di Julia DEMESHKO
https://www.sb.by/articles/mezhdu-riskom-i-ambitsiyami.html
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