L’INTERVISTA A NORBERTO NATALI. Il PCI era libertà e speranza di non essere solo dei servi.
Articolo di Tommaso Rodano per il Fatto Quotidiano 8 febbraio 2021
Norberto Natali ricorda quella volta che guidò una
delegazione della gioventù comunista – Fgci, corrente filosovietica – in visita
ai fratelli maggiori di Mosca. Sorride beffardo: “Era da poco morto Breznev e
noi eravamo lì pe ricucire i rapporti con l’Urss, sfilacciati dallo strappo di
Berlinguer. Il capodelegazione era tornato a Roma due giorni prima. Ne
approfittati per rilasciare una ‘dichiarazione congiunta’ che in realtà era
soltanto mia: un comunicato dei comunisti italiani contro la Nato”. Mostra un
titolo di giornale e una fotografia a prova della sua impresa. “Alle Botteghe
Oscure uscirono pazzi. Pensavano che fosse un falso pubblicato a Mosca: non
hanno mai sputo che era uno scherzo. Nè che ero stato io”. Oggi Natali porta
gli occhiali scuri: una vita di militanza gli ha fiaccato gli occhi e tolto la
vista. Lo spirito è intatto. È una memoria storica di Casal Bruciato, il suo
quartiere, e della storia del PCI. Le due entità - la periferia e il partito –
hanno vissuto a lungo in simbiosi: la sezione “Francesco Moranino” era la
chiesa laica del villaggio. Poi il PCI ha abdicato, la sezione ha chiuso e l’ultima
volta che l’opinione pubblica si è occupata di Casal Bruciato è stata per le
proteste organizzate da Casa Pound contro un alloggio popolare assegnato ad una
famiglia rom. Ma ci arriviamo con calma.
La prima domanda tiene insieme tutte le altre: cos’era
per lei il PCI?
La possibilità di non essere solo dei servi, la speranza di
essere persone libere.
Si spieghi.
Ero operaio ma vivevo bene. Guadagnavamo il triplo dei
proletari di oggi, sapevamo di poter contare su pensione e liquidazione. Non ci
sentivamo sotto il ricatto del bisogno.
Per lei era merito del PCI?
Finché c’era il PCI nessun lavoratore s’è mai trovato in
mezzo ad una strada da un giorno all’altro. Questa è stata la sua funzione
storica: non lasciare nessuno da solo, oppresso o sfruttato. Contava il
rapporto di forza tra le classi costruito nel tempo. Tutto l’asse politico era
orientato molto più a sinistra di oggi.
Casal Bruciato tra gli anni 60 e 70 è diventato la somma
di tutti gli esclusi di Roma: arrivavano sfollati, alluvionati e senza casa
dalle altre borgate. Qual è stato il ruolo del PCI nel quartiere?
La sezione era centrale, il segretario era un po’ capopopolo
e un po’ confessore. Gli chiedevano di risolvere pure le beghe familiari:
andavano a sfogarsi da lui le donne degli alcolizzati e di chi aveva problemi
di droga.
C’era molta droga?
E tanto alcolismo. Mi ricordo la battuta di un segretario di
sezione: “Maledetto vino, si ricordano del partito solo quando sono ubriachi!”.
Il PCI provava a esercitare una funzione di controllo sulla criminalità e sullo
spaccio. Era il fulcro di una rete sociale di palestre, circoli e attività
ricreative. La droga era già dappertutto, ma c’era anche la lotta. E molta più
allegria.
C’era la “Carlo Levi” una scuola di boxe che ha sfornato
campioni. E dove era stato recuperato il ring delle olimpiadi di Roma ’60, su
cui aveva combattuto Cassius Clay.
Era un’occupazione sottratta ad una speculazione edilizia, l’aprimmo
insieme a Marcello Stella, un compagno della Moranino. Ha tenuto lontani tanti
ragazzi dalla strada. Ora è chiusa anche quella.
Quanto prendeva il PCI a Casal Bruciato?
Sì e no il 40% nella circoscrizione eravamo intorno al 50.
Anche il Movimento Sociale era forte, in alcune vie prendeva il 15% ma non si è
mai vista l’ombra della loro presenza: quando c’era il PCI non si palesavano
fascisti, Casa Pound o Salvini. Sono i prodotti dell’assenza del Partito.
Un anno e mezzo fa è scoppiata una protesta contro una
famiglia rom. Casal Bruciato è razzista?
Hanno partecipato persone che conosco. Comunisti, gente che
stava con Berlinguer.
E che ci facevano con Casa Pound?
Si sono serviti della destra per motivazioni comprensibili e
sbagliate. È stato un grido: sono povero e incazzato. Ci avete lasciato soli. Il
quartiere è pieno di precari. Le case del Comune sono pericolanti, senza
manutenzione, con i riscaldamenti rotti per mesi e l’acqua che scende dai soffitti.
L’unica volta che abbiamo visto il sindaco, i preti e i giornalisti è stata per
i nomadi.
La destra mette radici?
Nei seggi delle case popolari la Lega ha preso 127 voti su
954, il PCI ne prendeva 600. Il problema non sono quelli che votano a destra, è
la scomparsa degli altri, l’assenza della sinistra.
Una vita nel partito è stata una battaglia anche fisica.
Ero nel servizio d’ordine che ha accompagnato Berlinguer in
Calabria per la campagna dell’83. Il Corriere della Sera lo definì un “servizio
d’ordine inappuntabile ma pesante” (sorride). Prima del comizio di Reggio
un ‘ndranghetista dei De Stefano aspettava Enrico per strada, credo volesse
farsi fotografare mentre gli dava la mano. Con un paio di compagni venuti da
Melissa (Crotone) mi sono avvicinato al mafioso e ai suoi amici. Il boss era
seduto al tavolo di un bar, si è alzato per andargli incontro ma non è riuscito
a fare molti passi (ride).
Col PCI non si scherzava.
Ma si rideva pure molto. Ricordo l’occupazione femminile di
uno stabilimento della Fezia. I padroni avevano assoldato dei delinquenti di
Guidonia, che di notte entravano nella parte posteriore della fabbrica per
terrorizzare le ragazze. Ci organizzammo in quattro per andarle a proteggere:
ci piazzammo due su un lato e due su un altro, nel buio completo, in silenzio. All’improvviso
alle nostre spalle si accesero le luci, sentimmo un gran vociare: era la fine
del turno di un’altra fabbrica, la Sciolari. Uscirono 200 operai che ci
passarono davanti ridacchiando, facendo le più ovvie battute su quei quattro
maschi accucciati e infrattati nell’oscurità. Ci siamo fatti tante risate.
E oggi?
I partiti sono un’avventuretta elettorale, una conventicola
di aspiranti assessori e onorevoli.
Il PCI era un’altra cosa.

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